[…] attraversando quel tratto di pianura padana che separa Cento da casa mia, mi sono trovato immancabilmente circondato dalla nebbia.
Non quella nebbia muffita che, in città asfittiche come Milano, ti entra fin nelle mutande per appiccicarvi lo smog, ma quella nebbia candida e vaporosa come solo sui campi padani.
Adoro la nebbia, per quel senso di ineluttabilità che ti pervade quando ne sei avvolto. Oltre la cortina acquosa non esiste nulla. Forse perchè nulla esiste se non lo percepiamo. E da oltre non arriva nulla, nè luci nè suoni. L’attraversa solo l’odore atavico del legno bruciato e, per quanto ne sappiamo, potremmo essere pure tornati all’età della pietra e del fuoco.
Qui il suo fascino, nel fatto che la Terra intera improvvisamente naviga indietro nel tempo di mille anni, fino a ridiventare piatta ed il centro dell’universo.
E cammandovi dentro si prova un solletico all’ipotalamo per la costante sensazione che il prossimo passo potrebbe portare oltre le colonne d’Ercole.
Amo la nebbia per l’offerta di una seconda possibilità: sai quello che sei ed a tratti sommari quello che ti sei appena lasciato alle spalle, ma oltre c’è l’ignoto ed il tutto.
Forse dico questo perchè anelo più a dimenticare certi passati che ad assicurarmi un presente.
Forse chi non ha dubbi, non ha rimorsi, non ha nostalgie, non ha rancori la nebbia la odia.
Vabbè… torno a lavorare, al giro del mondo ci penso domani.