La clessidra del tempo a mia disposizoine è quasi finita ma prima di partire credo sinceramente di doverti delle scuse Caracas.
Scuse soprattutto per tutti i giudizi che ho espresso o solo pensato in queste poche ore in cui ti ho conosciuta. Una cultura come quella sudamericana e una città grande come te non sono alla portata di un viaggio di lavoro di pochi giorni.
Ma cerchiamo di lasciarci da amici, prendi quello che ho pensato come un punto di vista esterno al tuo, non contaminato, abbastanza scevro da pregiudizi e fanne ciò che credi.
In questo poco tempo ho potuto scrutare una crosta che racchiude realtà certamente meravigliose, ma per me, per molto tempo, resterà soltanto una crosta.
Su questa crosta ti ho visto correre via veloce, ingnorando la povertà che ti circonda fino quasi a soffocarti, chiusa nelle tue gigantesche auto oscurate perchè nemmeno gli occhi della sofferenza possano sfiorare il tuo effimero benessere.
Ti ho visto chiamare uomini nella selva “i nativos”, confessando così inconsciamente che tu sei qui a prendere qualcosa che non è tuo. E dato che non ti appartiene non ne hai nemmeno cura. Su questa crosta tutto è rotto, tutto è decadente, la vernice si scrosta, le crepe ai muri, le persone hanno cipria di nafta.
Le tue donne aspirano a una bellezza di plastica per avere attenzioni sufficienti a sopperire alla totale mancanza di rispetto, e in questo assomigli così tanto al mio sciagurato paese.
Su questa crosta ho visto brulicare milioni di formiche sui loro mezzi mossi da benzina a un costo inferiore a quello dell’acqua.
E i tuoi piedi, i tuoi palazzi, strade, negozi poggiano su sabbie mobili nere di petrolio, cosa ne sarà di te quando finirà? Dovrai reimparare a sopravvivere dalle tue terribili povertà?
Adiòs Caracas y gracias por todo, io farò tesoro dei tuoi insegnamenti, spero possa farlo anche tu.